martedì 12 febbraio 2013

Appunti su Ravensbrück, breve viaggio nella memoria


Appunti su Ravensbrück, breve viaggio nella memoria
Teresa Lazzaro
La sofferenza m’ha punta troppo presto
mi sono consumata
sono cenere che brilla senza desiderio.
Ora, solo il silenzio mi tiene compagnia
mentre sono  nel fuoco.
Grażyna Chrostowska
Ravensbrück, 13 aprile 1942
Nell’inferno dei campi di concentramento, al momento dell’arrivo, le donne, costrette a spogliarsi completamente nude e a lasciare ogni cosa, dalla fede nuziale al fazzoletto, rasate e tatuate, perdendo la loro dignità e identità, cessavano anche di potere essere madri. Gravissimo era pertanto il trauma subito dalla disumanizzazione provocata dalle SS.  Condizioni di vita  terribili da schiave era ciò che li attendeva non appena un numero tatuato dolorosamente con inchiostro indelebile le trasformava in pezzi.  Teniamo anche conto del fatto che si giungeva all’inferno dopo un viaggio di circa cinque giorni e che arrivando, a malapena coscienti, quando si spalancavano le porte dei vagoni in cui respirare era stato faticoso, le SS gridavano tenendo a guinzaglio i cani, mostrando la frusta e prendendo a calci le vittime, costrette a raggiungere il luogo dello sterminio e rimanere per ore in piedi senza potersi muovere  e sopportare le terribili rigide temperature. La rasatura  era un terribile e umiliante degrado.  Poi c’erano quelle che venivano sfruttate sessualmente.  Tutte quelle deportate nel campo di Ravensbrück raggiungevano il campo a piedi da Füstenberg.
Nella sua testimonianza, Jacqueline Péry d’Alincourt, ricorda di aver scoperto molto dopo, che il famigerato luogo fosse nella Germania settentrionale vicino al Baltico. La stessa rivive raccontandola, la terribile angoscia subentrata con la confisca di qualunque cosa, una foto, un libro, una semplice lettera. Per lei fu terribile, trovarsi completamente nuda, pigiata con le altre e  tutte, evitando per la vergogna di guardarsi,  obbligate ad imparare a memoria il numero assegnato, nel suo caso  il 35243, confinate ad uno spazio ristretto in cui era impossibile avere un attimo di privacy. Lei, prigioniera politica, arrestata nel settembre del 1943  e  rinchiusa a Fresnes,  sei mesi dopo era stata portata a Romainville, un’installazione militare ad est di Parigi, dove non più sola, per qualche settimana era riuscita a sentirsi viva! Lei apparteneva  al gruppo francese conosciute come les politiques, quelle prigioniere dal triangolo rosso. Dopo tre settimane di isolamento si riunì con l’amica Geneviève de Gaulle, con la quale avrebbe poi diviso per alcuni mesi lo stesso pagliericcio!
Le donne del  campo di Ravensbrück, determinate a sopravvivere, riuscirono a sostenersi a vicenda  e ad esprimere sofferenza e disagi in varie espressioni artistiche. In modo silenzioso riuscirono a lottare e le loro espressioni artistiche, dopo la guerra,  costituirono prove  che dimostrano  di quali orrori erano state testimoni e vittime. Quella di  Grażyna Chrostowska fu la prima voce femminile dell’Olocausto ad essere conosciuta anche se poi la risonanza l’avrebbe avuta quella di Anna Frank, accanto a quelle maschili di Elie Wiesel  e Primo Levi.  Oggi grazie a diari, libri e numerose testimonianze orali, aumenta il numero delle voci  femminili conosciute. Poche quelle voci disponibili in lingua italiana, ma in crescente aumento quelle in altre lingue.
Metà delle vittime furono donne e la loro esperienza, per motivi biologici, fu diversa da quella degli uomini. Un fatto interessante emerge dal campo di Ravensbrück: le deportate riuscivano a scambiarsi regali e ricette. Spesso il loro spirito di adattamento costituì la loro forza, quella marcia in più, che le donne ebbero, rispetto ai maschi, per  sopravvivere, pur essendo ridotte peggio di animali sporchi e senza cibo. L’orrore da loro affrontato era diverso, basti pensare al trauma della rasatura delle loro bellissime chiome e all’amenorrea che  sopraggiungeva. Cercarono tutte di aiutarsi tra loro e la forza dell’amicizia permise loro di dare, in quel contesto doloroso, il meglio delle loro capacità mentali.
Ravensbrück fu un campo molto diverso dagli altri. Non fu concepito come campo di sterminio ma prigione per disadattate. Essendo situato  nella Germania orientale si è potuto avere accesso in quel luogo soltanto negli anni Novanta, dopo la riunificazione del paese.
Nel 1935 i Nazisti implementarono un programma, meglio noto come Lebensborn. In una serie di case, donne singole o maritate, di “pura” razza potevano far nascere  i loro figli che là potevano crescere ben accuditi. Nello stesso tempo l’aborto divenne illegale per le donne “pure” mentre aumentarono i controlli sulle nascite e le restrizioni per le altre donne costrette alla sterilizzazione. Non possiamo dimenticare a tal proposito la testimonianza di Ceja  Stojka, bambina dall’infanzia rubata, che prima di finire nei campi di concentramento era già prigioniera da libera e che a  Ravensbrück venne sterilizzata insieme a tante altre deportate, contro la sua volontà.
Alla fine del 1938 i Nazisti decisero di costruire un campo di prigionia  per sole donne a poca distanza da Berlino per internare il crescente numero di prigioniere politiche che il regime considerava sgradite. Dal  vicino campo di Sachenhausen  arrivarono i prigionieri per costruire le diverse strutture femminili ai margini del lago vicino il villaggio di Füstenberg. Il campo di concentramento di Ravensbrück, aperto il 18 Maggio dell’anno successivo  accolse quasi 900 donne tedesche ed austriache precedentemente internate nella fortezza di Lichtenberg. Fu utilizzato soprattutto per prigioniere politiche, asociali, criminali, Testimoni di Geova ed Ebree. Inizialmente costruito per la detenzione di 4000 persone, il campo nel 1945 aveva 50000 prigioniere, provenienti da 23 nazioni.
Diverse le trasformazioni del luogo che da prigione divenne campo di lavoro, rimanendo operativo fino al 30 Aprile 1945 quando la Croce Rossa  si prese cura delle ultime tremila donne. Le donne trasferite in questo campo servivano come manodopera  per la macchina da guerra nazista.  Nel 1944  fu costruito un forno crematorio e nella primavera successiva  venne fatta una camera a gas, in cui morirono 6000 donne. In precedenza le donne venivano invece mandate a morire nei sottocampi o ad Auschwitz. Cambiando le caratteristiche del campo cambiò anche la tipologia delle deportate. Furono solo 15000 quelle tornate libere con le proprie gambe!  Poi furono anche trasferiti nel corso degli anni degli uomini da Buchenwald  per le riparazioni delle automobili e per lavori elettrici, uomini che erano alloggiati in una struttura  isolata dalle donne.
In media le donne qui avevano meno di trenta anni e provenivano soprattutto da Polonia, Russia e Germania.  Queste erano le  percentuali: 78% prigioniere politiche, 12% Ebree, 7.1% asociali, 2.8% criminali. Le asociali comprendevano zingare, prostitute, alcolizzate e senzatetto.   Nel triangolo che le deportate dovevano cucirsi indosso c’era anche l’iniziale del paese di provenienza. L’unico triangolo che a Ravensbrück  non si vedeva era quello rosa, usato per gli omosessuali. Le SS  consideravano l’omosessualità una malattia da curare, quindi le lesbiche che venivano arrestate rientravano nel gruppo delle asociali, sebbene negli elenchi accanto al nome c’era  un’annotazione come si legge nella testimonianza di Nanda Hebermann, cattolica, che fu arrestata nella Cattedrale di Munster l’8 febbraio 1941  per l’aiuto che offriva alla Resistenza e che scrisse un memoriale sulla sua esperienza, lei che fu costretta a vivere proprio nel blocco delle prostitute. Donna pia e buona,  si trovò malissimo in mezzo a loro il cui linguaggio era volgare e scurrile e che avrebbe voluto essere in un’altra baracca magari insieme alle combattenti della Resistenza. Per lo più francesi queste erano classificate come prigioniere Nacht und Nebel.   Vivevano completamente isolate dal mondo e non potevano né ricevere né scrivere lettere. Scomparvero senza lasciare tracce e di loro non fu rilasciata alcuna notizia. Le ceneri delle donne uccise venivano gettate nel lago Schwetd. Oggi in loro ricordo chi visita il campo  getta rose nelle acque del lago.
Molti disegni fatte dalle deportate del campo mettono in evidenza il sovraffollamento ed una prigioniera politica, Nina Jirsikova ne fa un quadro alquanto umoristico. Il disegno  conosciuto come Block Assignment fa vedere le donne una sull’altra. Dalle figure si notano le diverse nazionalità e la mancanza di privacy. Accumunate solo dall’essere donne, tutte di etnia e religione diversa! E nel disegno si notano le babuskas, tipiche babucce russe.
L’ideologia della razza spingeva le SS a trattare le donne secondo una scala gerarchica, così le tedesche erano trattate meglio delle scandinave e delle polacche. Anche chi aveva il triangolo nero, da asociale, o il triangolo verde da criminale era trattata meglio di altre. Pertanto le deportate mal sopportavano chi aveva “potere”  come le kapò, in genere asociali e criminali che facevano abusi di potere, che torturavano, che decidevano chi andava punita, che potevano avere qualcosa in più da mangiare e che potevano favorire alcune internate solo per simpatia.  Tale odio per le kapò è espresso nei disegni in cui appaiono come figure grottesche ma anche ironiche nei confronti delle altre. Erano vestite meglio perché rubavano o perché si procuravano  dei capi in modo illecito. Nei processi dopo la guerra due delle kapò di Ravensbrück subirono la condanna a morte per aver collaborato con le SS mandando   gente nella camera a gas.
Legami di tipo religioso o politico furono meno importanti della solidarietà e del  patriottismo sebbene  nella sua vasta testimonianza Corrie Ten Boom affermasse di essere cristiana prima ed olandese dopo. Nanda Herbermann vedeva se stessa prima  cattolica e poi tedesca e condannava i suoi compatrioti per il comportamento immorale. Le comuniste erano tra loro molto legate prima per l’ideologia e poi per orgoglio nazionale. Questo variava a seconda dei gruppi e  insieme alla posizione sociale è stato determinante per la loro sopravvivenza.
Memoriali e poesie sul campo di Ravensbrück  confermano l’esistenza di pregiudizi. Zingare ed Ucraine era anche target di discriminazione. Considerate infantili ed ignoranti venivano emarginate perché avevano portato i pidocchi e se veniva a mancare qualcosa erano loro ad essere accusate di fare ciò che altre non avrebbero osato fare, anche rubare un arto artificiale!
Peggiori le considerazioni per le ucraine considerate maligne e  pronte a prendersi quel poco che altre le deportate avevano. Un altro gruppo indesiderato era quello delle prostitute, considerate delinquenti e crudeli. Soggette a devianza, perverse erano accusate di essere lesbiche. Interessate solo a rapporti intimi  le polacche si baciavano sulla bocca e mettevano a disagio le francesi. Molte ebbero rapporti da lesbiche  come l’unico modo per superare la solitudine ed evitare isterismi ma  erano spesso accusate di furti e di terrorizzare le altre. E’ difficile trovare qualche testimonianza che non le stigmatizzi.
C’era  nel campo anche il sottobosco culturale e le Jules erano coloro che fisicamente assomigliavano ad uomini. Pertanto come tali vestivano. Venivano scelte come kapò ed in una delle poesie Charlotte Delbo descrive i loro rapporti intimi come quelli di coppie legalmente sposate mentre le altre sono stanche morte in quella specie di strapuntini.  Le Jules godevano di protezione e vivevano meglio grazie a compiti di lavoro più leggeri, razioni di cibo più grandi e qualche vestito in più.
Spesso costrette in tre in un “letto” il freddo le costringeva a tare strette strette  per scaldarsi e la cosa a volte sfociava in qualche relazione illecita. A volte erano amicizie  solidali a sfociare nell’intimità. L’affetto le rendeva umane ed era l’unico modo per sentirsi tali e quindi per sopravvivere. Era importante cercare di creare dei legami, lontano dalla propria famiglia, per sopportare le sofferenze  e poter dipendere le une dalle altre dava loro molta  forza. E’ chiaro dunque che chi era isolata soffriva di più. L’amicizia tra due o più donne era più forte di quella che poteva esistere tra gli uomini. Lo stesso Wiesel abbandonò il proprio padre. Gli uomini potevano essere accusati di omosessualità e per questo motivo non creavano legami tra loro. Le donne al contrario per questo tipo di rapporti ebbero una chance di sopravvivenza maggiore.
Chi non aveva legami era esclusa dalla vita del campo, come fu il caso di Helen Ernst, un’artista che a Ravensbrück venne accusata di essere arrogante nei confronti delle altre. Lei si isolò dagli altri vivendo nel proprio mondo senza dar peso a quanto potevano pensare gli altri di lei. Disegnare fu per lei  una medicina, un modo per guarire dall’abisso in cui era sprofondata nel campo. Disegnare era un lottare ma nel suo caso la sua riservatezza fu presa per  arroganza  mentre nei suoi disegni lei mette in evidenza la mutua assistenza e  teneri atteggiamenti che permettevano alle donne di confortarsi tra loro.
Tra le artiste deportate a  Ravensbrück merita di essere ricordata Aat Breuer,  i cui disegni sono arrivati fino a noi. Artista di grande talento catturò l’anima e le emozioni delle cose in quei tanti ritratti di bambini: unico ricordo rimasto alle madri che persero i figli. Chiederle di fare ritratti di defunti serviva ad  onorare la persona per la quale non c’era funerale. Anche se nel campo di concentramento si moriva per le dure condizioni di vita  nei suoi disegni l’artista ritrasse le persone avvolte nella pace e nella bellezza.
Nelle poesie gli uomini raccontavano le brutture del campo mentre le donne il  loro desiderio della casa o della famiglia. Poesie e disegni erano doni gli uni per le altre, a volte, erano preferiti anche a un tozzo di pane. Lo scambio di doni era il pretesto per un sorriso, un modo per sentire la propria umanità. Ammirevole che trovassero la forza di farlo. Spesso infatti per una matita rinunciavano a quel poco cibo. Le donne nascondevano poesie e disegni nei loro stracci o nei muri delle baracche, ben sapendo che se gli trovassero indosso qualcosa significava morire. Le donne  non solo scrissero testi di poesia propri ma fecero raccolte dei propri tesori culturali, di poesie, canzoni, favole, ricette. Quanto è arrivato fino a noi rivela anche il senso dell’umorismo in mezzo all’indescrivibile orrore. Un biglietto dato ad una donna che era stata vittima di esperimenti medici aveva l’immagine di un coniglio. Nel 1944  per Natale Aat Breur fece un biglietto in cui Babbo Natale schiacciava il campo portando morte: significativo del fatto che per le donne non c’era nessuna festa di Natale.  Per quanto riguarda il campo di concentramento delle donne, scritti e disegni, furono fatti  durante gli anni di internamento e dopo la guerra.  Sono una finestra aperta su quel posto. Le donne rubavano materiali mentre lavoravano in fabbrica per scrivere o per disegnare o per cucire. Le poesie le imparavano a memoria e le recitavano durante il lungo appello. Era un modo per lottare, proprio perché proibito. In un ambiente in cui avevi solo quanto indossavi, io disegno, la poesia , il dono erano quell’IO che nel campo non potevano essere. Una piccola cosa importante per non farle sentire solo il numero tatuato. Una piccola cosa per tenere la donna legata alla vita. Una piccola cosa che rappresentava il coraggio, l’ingenuità, la voglia di vivere. Una piccola cosa che rappresentava il  futuro da vivere fuori dal campo.
Grażyna Chrostowska nacque il 21 ottobre 1921 a Lublino in una nobile famiglia  polacca.  Orfana di madre dal 1932 il padre si occupò della sua formazione umanistica facendole frequentare una scuola adatta ai suoi interessi. La fanciulla amava l’arte, scriveva versi e prosa, amava il teatro e il cinema. Apparteneva anche a un gruppo Scout. Dopo l’occupazione della Polonia il padre divenne uno dei capi del KOP movimento di difesa della Polonia cosi lei cominciò a distribuire un volantino periodico “Vite polacche”. Venne arrestata per la sua attività insieme al padre l’8 Maggio 1941. Michael Chrostowoski fu deportato e ucciso ad Auschwitz mentre lei fu rinchiusa per mesi dalla Gestapo  nel Castello di Lublino.  Il 12 settembre di quello stesso anno fu trasferita a Ravensbrück. A beffa dei Nazisti le poesie che scrisse durante il periodo vissuto nel campo di concentramento uscirono dall’inferno.  Ne parlò la BBC a Londra dandone notizia nel 1943. Ventenne, i cui sogni erano finiti nell’acqua, sentiva che fuori c’era solo indifferenza. Si sentiva impotente e la natura intorno a lei cambiava con le stagioni. Costruzioni grigie allineate laddove pesante era il respiro della disperazione e tutto si perdeva nel silenzio nel giorno della sua fucilazione. Quel giorno Grażyna in una poesia lo paragonava alla musica di Chopin. Anche gli uccelli erano impauriti, tutto era quieto. Nella calma prima della tempesta, nel cuore intriso di nostalgia per i cari lei sognava di camminare nelle pozzanghere, voleva ascoltare il vento e sentire il respiro della primavera. Sognava l’amore e minacciose erano le nuvole trafitte dall’inquietudine così come in quello stesso giorno la fucilazione poneva fine anzitempo alla sua giovane vita. Era il 18 Aprile 1942 con lei  morivano i suoi sogni e quelli di  altre giovani polacche.
Rosi Maria Elizabeth Mauskopf nacque a Sulus al confine con l’Ungheria e la Slovacchia il 13 Gennaio 1928. I suoi genitori Ebrei della Slovacchia e dell’Ungheria avevano una piccola libreria. Nel 1941 la mandarono a Budapest perché si prendesse cura di una zia malata. Mentra la famiglia veniva deportata ad Auschwitz nel 1943 la fanciulla rimase nel ghetto di Budapest. Rastrellata con altri Ebrei fu obbligata a raggiungere a piedi il confine austriaco da dove fu condotta a Ravensbrück. Rosi fu messa nella cella di punizione diverse volte per l’attività che svolgeva nel campo. Alla fine del 1944 fu sterilizzata e poi fu trasferita a Bergen Belsen. Quando la Croce Rossa svedese liberò il campo fu portata in Svezia dove nei  dieci anni successivi ebbe trenta interventi chirurgici per i maltrattamenti subiti.
Milena Jesenka, scrittrice di talento era nata il 10 agosto 1896 a Praga in Cecoslovacchia. Sposando il banchiere Ernst Polak, si trasferì con lui a Vienna. Molto amica di Franz Kafka quando divorziò dal marito si unì alla Resistenza. La Gestapo la arrestò e la mise in prigione nel 1939 e poiché non era colpevole fu mandata a Ravensbrück per  seguire il programma di rieducazione nazista. Nel 1943 Milena subì un intervento ai reni. Morì il 17 maggio 1944 in seguito ad un infezione all’altro rene. Margarete Buber Neumann che divenne amica di Milena nel tempo della deportazione, scrisse un libro su di lei.
Marianne Katharina Pick, nota come  Käthe era l’ultima figlia di Josef Pick un noto  avvocato molto agiato la cui famiglia, ebrea,  aveva una industria tessile. La bimba nacque a meno di un anno dalla sorella che era bellissima come la madre,  Lotte Rubenstein, colta figlia di banchieri rumeni.  Käthe  venne alla luce il 20 agosto 1895 a Vienna.  Da ragazzina cominciò a preoccuparsi dei meno fortunati, facendo la volontaria in un asilo per figli di lavoratori.  Avrebbe voluto studiare legge, ma in Austria non era possibile e cosi  si laureò all’Università di Heidelberg  sugli scambi commerciali tra il suo paese e Italia, quando era alquanto insolito per le donne laurearsi. Lei e il marito Otto Leichter divennero leader del partito Social Democratico in Austria, lui come editore di  Die Arbeiter-Zeitung  e lei come funzionario del partito. Entrambi  presero  parte alla Resistenza. Nel 1934 il marito e i due figli riuscirono a trasferirsi in Svizzera per poi trovare rifugio negli Stati Uniti. Anche lei nel 1938 era pronta ad andare all’estero ma andando a salutare la madre, venne arrestata dalla Gestapo per una soffiata. Käthe Leichter fu  accusata di alto tradimento.  A Ravensbrück giunse nel gennaio 1940 e per i due anni  di permanenza nel campo lei cercò sempre di essere una leader per le donne con cui venne a contatto.  Nel Gennaio 1942  fece parte del gruppo di 1500  ebree scelte per essere trasportate a Bernburg  dove morì nella camera a gas. Un urna con le sue ceneri e l’ultima lettera da lei scritta ai figli fu restituita alla famiglia.  Rosa Jochmann, una sua cara amica di Vienna  la ricordò così “ Arrivò il giorno e poiché io ero l’anziana del blocco ebbi il permesso di arrivare alla strada del campo. La tenni per mano. Non saprò mai se sapesse che era giunta la fine. La vedo seduta ancora sul camion, nel freddo gelido, con quei meravigliosi occhi blu  darci un addio con la mano.”
Rosa Jochmann  nacque in Austria il 19 luglio 1901 ed anche lei lavorò come membro del partito Social Democratico finché la Gestapo l’arrestò nel 1939  perché faceva parte della Resistenza.  Rosa fu mandata a  Ravensbrück  nel 1940 e divenne l’anziana della Baracca Uno. Nel 1943 venne messa nel bunker delle punizioni perché aveva organizzato da mangiare per altre detenute. Dopo la  Liberazione del campo Rosa organizzò il ritorno a casa di deportate austriache continuando ad avere un ruolo attivo in politica. Per molti anni  fu membro del Senato, sempre tra i Social Democratici. Morì il 29 Gennaio 1994.
Charlotte Müller nacque nel 1912 in Turingia ma era cresciuta a Chemnitz dove la famiglia si trasferì nel 1923 perché aveva legami con i Testimoni di Geova. Nell’agosto del 1936 la Gestapo l’arrestò per aver prodotto e illegalmente distribuito letteratura religiosa. Dopo due anni di detenzione rifiutò di firmare la rinuncia alla propria fede e fu immediatamente mandata al campo di Lichtenburg, dove con altre centinaia di Bibelforscher venne severamente punita per la non partecipazione alle cerimonie patriottiche. Nel maggio del 1939 fu trasferita a Ravensbrück e per un anno fu rinchiusa in cella d’isolamento quando rifiutò di portare la bandiera con la swastica.  Nel 1945 si riunì con la famiglia ma cinque anni dopo fu arrestata di nuovo per motivi religiosi dal regime comunista che le fece scontare altri sei anni di detenzione.
Renée Mirande-Laval nacque il 31 agosto 1908 a Parigi dove intraprese la carriera forense dopo la laurea in legge. Durante l’occupazione nazista difese in tribunale membri della Resistenza che furono arrestati. La Gestapo l’arrestò nel marzo 1943 e la mandò a Ravensbrück dove dai primi giorni decise di essere testimone di quanto accadesse nel campo. Dal momento del rilascio fece parte dell’organizzazione “L’Amicale de Ravensbrück  cui presero parte le francesi sopravvissute all’inferno di questo campo. Successivamente fu la prima presidente del “Comitee  International de Ravensbrück.
Per quanto riguarda le prostitute  è d’uopo ricordare il pensiero di Irma Trksak  viennese, sopravvissuta all'inferno di Ravensbrück. Secondo lei quando furono liberate, alla fine della guerra, queste donne erano rottami umani. Ogni giorno avevano dovuto concedersi ad un'infinità di uomini.  I lager le distrussero, rovinandole per sempre. La prostituzione forzata nei campi di sterminio è ampiamente documentata e nel 2007 ci fu una mostra a Neuengamme  intitolata "Sex-Zwangsarbeit in NS-Konzentrationslagern" . L’infame capitolo del Terzo Reich fu voluto da Himmel che l’11 giugno 1942 firmò un decreto per autorizzare i comandanti dei lager «a fornire femmine nei bordelli ai detenuti più laboriosi».  La prostituzione era considerata come «un incentivo» di produttività visto che i  deportati  dovevano sostenere l’economia bellica  lavorando nei lager. Era una specie di «premio di produzione» riservato pertanto alle donne instancabili. Nella mentalità nazista, il sesso,  doveva stimolare la laboriosità degli internati e costituire un forte deterrente contro l'omosessualità che esisteva nelle baracche. Il bordello del lager non doveva dare nell’occhio proprio  come i forni crematori.
Storicamente nel giugno 1942 fu aperta a  Mathausen la prima baracca a luci rosse.  La baracca era circondata da filo spinato. Le prostitute concentrate a  Ravensbrück  furono da lì smistate nei bordelli  che di solito erano accanto alle camere a gas. Privilegiate per la qualità del cibo e dell'alloggio e per l'igiene personale, le venti prostitute prescelte per lavorare nel bordello, erano sepolte vive perché non potevano mai uscire all'aperto nel tempo libero.  Le donne venivano rimpiazzate spesso, perché chi contraeva qualche malattia poi andava trasferita altrove per sentenza di morte. La maggior parte di esse, dopo la guerra e i processi, non ebbe  alcun risarcimento. La visita al bordello era scrupolosamente regolamentata dai burocrati di Adolf Hitler. L'incentivo sessuale era negato alle donne ebree e russe. Occorreva presentare una richiesta scritta, la cui autorizzazione veniva resa nota pubblicamente durante l'appello mattutino. Era autorizzato soltanto "un coito in posizione normale" e una finestrella serviva a quelli col triangolo per controllare che la norma fosse  rispettata. Il costo era di due marchi del Reich per venti minuti di prestazione. Pare che gli omosessuali fossero costretti a frequentare i bordelli per guarire dalla loro malattia.
A Ravensbrück come a Dachau ed in altri campi di sterminio i Nazisti usavano altoparlanti per infastidire e torturare  i detenuti in modo particolare la domenica pomeriggio quando le guardie trasmettevano programmi musicali ad un volume assordante. Questa terribile tortura permetteva alle donne di parlare sottovoce senza essere sentire. Per coloro che amavano la musica ascoltare tali programmi rappresentava un piacevole diversivo. Così l’ascolto di Schubert e Mozart rappresentava un grande godimento dopo aver sopportato l’ascolto di canti militari.  Infatti i canti militari per molti erano  una forma di tortura perché non essendo di madre lingua tedesca era difficile imparare le parole ed estenuante ed umiliante l’essere pure costrette a cantare. Quelle che avevano un qualche talento musicale erano inoltre obbligate ad esibirsi  in concerti privati per le SS.
L’avventura di una sopravvissuta fedelmente tratta da un’intervista a Irma Trksak su Memory portale di testimonianze.
 Irma Trksak è nata a Vienna il 2 Ottobre 1917 dove i genitori Stefan ed Anna si erano trasferiti dalla Slovacchia a trovare lavoro. Finita la guerra il padre che era un bravissimo calzolaio cambiò mestiere e fece carriera in una fabbrica di ghiaccio. La famiglia composta dai due genitori e quattro figli  viveva pertanto di un solo stipendio e permise ai figli Irma, Anna, Stefan e Jan di frequentare scuole Ceche e di parlare Tedesco, Slovacco e Ceco. Irma riuscì a diplomarsi, cosa insolita, per una ragazza  e del proletariato, oltretutto, dopo aver frequentato il Comensky Realgymnasium. Dopo gli esami riuscì anche a frequentare per un anno l’Accademia dell’istruzione a Praga e riuscì dopo ad avere un lavoro come insegnante di un scuola primaria  ceca a Vienna. Ebbe anche un incarico in una scuola Slovacca. Tuttavia quando l’ Austria venne  annessa alla Germania, le scuole furono chiuse e la giovane Irma cominciò a studiare Lingue Slave all’Università di Vienna. In quel periodo cominciò a collaborare nella Resistenza, sia nell’ufficio censura per le lettere scritte in lingue slave ma anche nel gruppo di associazione Ceca per lo sport. Tutto accadeva nell’associazione. Il Terzo Reich prese di mira gli Slavi, che erano perseguitati come gli ebrei e gli zingari, in quanto di razza inferiore come era stato stabilito dall’autore di "Mein Kampf". "
Nella primavera del 1939 Irma Trsak partecipò ad un attentato. Nel 1941 fu arrestata dalla Gestapo e detenuta per una anno nella prigione  Roßauer Lände,  utilizzata dalla famigerata polizia. Alla fine del 1942, la giovane donna fu mandata a Ravesbrück con un trasporto.  Nel campo di concentramento incontrò Rosa Jochmann, donna socialdemocratica molto conosciuta anche all’estero per la lotta contro il Fascismo e l’oppressione.
 Nel campo di Ravensbrück  Irma Trsksak  fu mandata a lavorare alla fabbrica della Siemens, ed era una prigioniera con incarico di supervisione finché non essendo accusata di tradimento non venne mandata nel vicino campo di sterminio di Uckermark.
Il 28 Aprile 1945  le  SS la mandarono con tutte le alter deportate verso ovest in una Marcia della Morte per evitare l’arrivo delle truppe Russe. Irma riuscì a scappare e dopo avere attraversato a piedi Polonia e Cecoslovacchia  riuscì ad abbracciare i genitori. Venne così informata del decesso dei due fratelli e di tanti amici. Nel 1946 partecipò ai processi di Amburgo tenuti dagli inglesi contro i responsabili del campo di concentramento di Ravensbrück.
Irma Trksak non è sposata ma è madre di un figlio. Dopo la guerra lavorò per un anno per la delegazione cecoslovacca che pubblicava un settimanale in lingua Ceca. Poi rimase a casa e in seguito fece diversi lavori nel settore privato finché  da pensionata non è diventata segretaria della società austriaca del campo di Ravensbrück  ed ha lavorato anche a Vienna per l’Associazione del Campo di Concentramento.
Irma Trksak ricorda bene come la propaganda mostrasse sempre solo gente che inneggiava  al Terzo Reich. Nei brevi filmati settimanali che erano sui notiziari la gente  allegra che osannava a Heldenplatz non tutti erano  Viennesi. Molti erano trasportati su camion ed i bambini erano costretti a sfilare in righe mostrando le bandiere. Era volontario ma orchestrato in parte ed  Irma era convinta che la gente che restava in casa era quella che aveva paura ed era preoccupata del proprio futuro. Questa gente non si fece mai vedere in pubblico.
La gente che sapeva cosa sarebbe successo, sapeva che avrebbe resistito a quanti condanna ano le decisioni prese con l’occupazione, la violenza contro gli Ebrei, gli arresti legali e illegali. Questa gente non si faceva mai vedere. Chi si informava sapeva e allora si convinceva che bisognava fare qualcosa, lottare, agire. Non accadde da un giorno all’altro, non erano pronti. Così prima pensarono e poi fecero di gruppi ed era tanta la gente che la pensava allo stesso modo.
Nessuno pensava di essere in pericolo. Il desiderio di resistere e difendersi spinse molti all’opposizione senza pensare che poteva essere pericoloso. Nessuno immaginava di poter essere arrestato, Non  erano cospiratori e per questo non pensavano di poter essere arrestati. Quando poi si venne a sapere che la gente deportata finiva nei campi di concentramento cominciarono ad essere più cauti. C’erano tra i membri della Resistenza degli infiltrati che spiavano e passavano informazioni quindi tutti dovevano stare molto attenti perché i progetti andassero a buon fine.
Le donne cercavano di resistere a qualunque costo. Le donne erano considerate solo come macchine di riproduzione per fare tanti figli in modo da creare un impero millenario. Non venivano prese sul serio anche perché non avevano mai avuto ruoli nei partiti politici, cosa che spinse i Nazisti a non comprendere fino a che punto il loro lavoro potesse essere importante. Facevano lo stesso lavoro degli uomini e non da sole. Lavoravano insieme con gli uomini. Sebbene inesperte, queste giovani donne riuscirono a salvare la propria vita solo perché i Nazisti non le ritennero capaci di resistere. La donna infatti rammenta di non essere stata bastonata. Incatenata si, faccia al muro, insultata ma mai colpita.
Un atto di disobbedienza della giovane Irma fu quello di acquistare nei negozi degli ebrei. Come insegnante di lingua ceca e di lingua slovacca era diventata amica di moltissimi ebrei che erano suoi allievi. Una volta che tornava a casa dopo aver fatto lezione vedendo un negozio con la stella gialla davanti al quale c’era scritto “ariani non acquistate dagli ebrei” lei entrò ed acquisto cento grammi di fettine di maiale. A quel punto uno che era appostato davanti al negozio cominciò a litigare. Questa porca ariana compra da un ebreo, continuando a dire è un’ebrea,  non è un ebrea, si è un’ebrea mentre lei gettando a terra il cartello andò via. Riuscì ad evitare l’ arresto quella volta.
Secondo i  Nazisti  contro Irma c’erano tre capi d’accusa. La giovane era innanzitutto colpevole di aver disegnato volantini prima della guerra. Volantini in cui si spiegava il significato della presenza di Hitler e che pretendeva dell’alto con il lavoro che dava. Perchè offriva lavoro se non per convertire le fabbriche in fabbriche di munizioni. Le strade che costruiva gli servivano per fare arrivare in altri paesi i sui carri armati. Voleva sottomettere conquistare nazioni e ucciderne la popolazione. Questo volantinaggio fatto prima dello scoppio della guerra costituiva un alto tradimento.
I giovani della Resistenza scrivevano catene di lettere ai soldati attraverso il numero d’assegnazione dei campi. Troppo lunga la spiegazione sul come veniva fatta la catena, ma era il modo per fare avere lettere ad ogni soldato. Quelli che avevano fatto esperienza militare fornivano numeri cosi la Resistenza cercava di chiedere  cosa volesse Hitler con una guerra non loro essendo cittadini di un’altra nazione e sottolineavano di non essere tedeschi e di essere costretti come cittadini austriaci ad unirsi all’esercito. Poiché non tutti erano eroi, chi disertava era punibile con la morte perciò la resistenza incoraggiava i giovani a non essere violenti, a non sparare e se possibile a non combattere contro il nemico. Cercavano di spiegare le vere intenzioni di Hitler ai soldati affermando che si trattava di una guerra di conquista per creare un impero millenario. Fortunatamente si trattò soltanto di sette anni ma le truppe erano demoralizzate.
La Resistenza cercava di mettere sabia nei macchinari da guerra. Cercarono di  avere contatti con gli addestratori e quando si accorgevano che ci si poteva fidare venivano incoraggiati a non mantenere gli orari cosi le armi non arrivavano al fronte e i prigionieri arrivavano in ritardo nei campi di concentramento. Cercavano  di creare caos anche se ciò  cominciò ad avvenire comunque. Per rallentare tutto un po’ venivano commessi atti di sabotaggio Quando si raccontava a qualcuno di questi piccoli atti di sabotaggio si rideva a squarciagola.  Spesso cercavano di dare a fuoco nei depositi in cui arrivavano uniformi, biciclette o quant’altro che magari era stato rubato o anche le cose che i prigionieri si erano portati dappresso. Se l’incendio non bruciava tutto il deposito quantomeno lo danneggiava. Per attira l’attenzione di tutti vennero bruciate scatole di paglia o fieno nel Lobau così la gente ne parlò e ci furono anche degli articoli sui quotidiani. La Resistenza cercava di informare la popolazione che non era vero che i Tedeschi erano vittoriosi come volevano far credere e così poteva comprendere che c’erano anche le sconfitte e poteva pensare e leggere tra le righe la verità e pertanto, almeno in parte, ci riuscì.
Quando era necessario i giovani si incontravano negli appartamenti e quando non fu più possibile fare I volantini fuori la Resistenza lo fece in casa di un giovane. Purtroppo i Nazisti trovarono la macchinetta che il giovane aveva seppellito nel giardino della sua casa vicino Steinhof. La trovarono perché notarono che la terra era stata smossa di recente e quindi costituì una prova schiacciante. Non fu possibile dire di non aver fatto nulla perché trovarono anche copie dei volantini che erano stati distribuiti. Non potendo negare l’evidenza Irma che era studentessa apprendista al Tagplatt, una sera  tornando a casa trovò ad attenderla la Gestapo per farle alcune domande. L’interrogatorio durò quattro anni perché fu arrestata e messa in prigione. Dapprima la giovane non potette avere contatti con la famiglia ma molto tempo dopo diedero il permesso alla famiglia di portarle dei vestiti e uno spazzolino da denti. Per un anno la giovane fu tenuta in isolamento, al piano superiore dove c’erano anche le celle di isolamento per uomini. Irma faceva parte di un gruppo di quattro donne, ognuna in  isolata come in cella da soli erano gli uomini e si trovavano tutti a Roßauer Lände. Ovviamente chi era in cella  di isolamento a distanza di anni ricorda ancora come Irma quanto fosse atroce stare lì dentro. Le minuscole celle non permettevano di fare più di tre passi, avanti o indietro. Le donne ricevevano un boccale d’acqua per lavarsi e non potevano andare nel lavatoio per via degli uomini. Per un anno intero in cella senza lavarsi cosi Irma ricorda di aver fatto una doccia solo poco prima che la portassero a Ravensbrück . Un intero anno senza lavarsi, senza leggere senza nulla di nulla, un anno coi capelli sporchi, in anno in cui le giornate trascorsero facendo avanti e indietro tre passi alla volta, giorno dopo giorno.  Quella solitudine li fece ingegnarsi a fare dei contatti e riuscirono a comunicare tra loro a colpi di vite, la vite che teneva attaccati i letti di due diverse celle. Anche Irma presto imparò che un colpo era la lettera A, due colpi la B, tre la C e cosi di seguito. Il prigioniero della cella accanto prese quindi a comunicare con Irma.  Si conoscevano ed anche lui era del 21mo distretto di Vienna. Più piccolo di lei fu fucilato! La mente li spronava a scambiarsi battute per evitare di pensare all’incerto futuro o a quanto fosse loro accaduto. Non sapevano  che sarebbero finiti in campi di concentramento. Li portavano fuori dalla cella solo per interrogarli, non avevano informazioni di nessuno e sfortunatamente il giovane della cella accanto a quella di Irma morì.
Tutti erano strettamente controllati e con la Gestapo alle calcagna. Il desiderio di ognuno era di avere contatti con altri esseri umani a parte il guardiano che controllava ogni trenta minuti a turno con l’ufficiale della Gestapo. E poiché le celle d’isolamento erano sullo stesso piano delle SS questi ufficiali erano sempre pronti per interrogare i prigionieri. Quindi anche usare il gabinetto ed essere guardati dallo spioncino era imbarazzante. Poiché il controllo era ogni mezz’ora bisognava calcolare quando andare a fare pipì. E Wastl era il soprannome che i prigionieri davano agli spioni. La giovane Irma all’inizio sobbalzava e cercava di coprirsi e per quanto fosse umiliante essere osservata in una tale situazione poi pensò di non farci caso che la spiassero ii suoi nemici e così cantava, anche se era proibito.
Dopo un anno di prigionia la ragazza Viennese fu trasferita con le altre dieci donne  che erano state in celle d’isolamento a Ravensbrück. Le  altre che non erano appartenenti al gruppo principale  della Resistenza egli uomini invece furono mandati a Mauthausen. Dopo un lungo viaggio in treno e soste in prigioni infami, come Praga, Pangrac,   Leipzig e   Alexanderplatz  (prigione di Berlino che non esiste più) giunsero finalmente a Ravensbrück. La vista di questo luogo accompagna ancora Irma che sente ancora le grida e gli insulti delle SS, e poi le donne che piangevano per l’umiliazione. Tutte comprese donne anziane e bambini dovevano spogliarsi e lasciare nude i lavatoi. Le SS, tutti uomini passavano tutte le donne in rassegna col fucile puntato e ridendo e alla vista di donne anziane i commenti negativi non mancavano. Le donne venivano rasate, e in un tempo in cui i capelli erano l’orgoglio della donna quando ciò avveniva era un grosso trauma. Le rasavano se avevano pidocchi  e se avevano rapporti con polacche o ucraine oltre alla perdita dei capelli c’erano 25 colpi di frusta.
Lungo la   strada principale del campo si potevano vedere quelle che erano rassegnate, che avevano perso ogni speranza, ridotte pelle ed ossa dalla fame, sporche e piagate, quasi pazze e impaurite che le SS consideravano come preziosi tesori. Irma ricorda tutto ancora vividamente anche se fu fortunata rispetto a quante persero la vita. Dopo essere stata in quarantena la giovane fu trasferita nello stesso blocco di celle in cui si trovava anche Rosa Jochmann, Viennese e combattente della Resistenza austriaca.  In prigione anche lei da molto tempo avendo saputo che noi eravamo Cechi di Vienna e prigioniere politiche era riuscita a farci trasferire in quel blocco dove c’erano prigioniere politiche di diverse nazionalità e Irma si ritenne fortunata a stare con una persona che sapeva incoraggiare  tenendo l’ordine ed essendo giusta mentre in altri blocchi le prigioniere anziane rubavano a volte il pane altrui.
In quanto esseri umani, I morsi della fame erano terribili. Rosa tagliava il pane davanti a tutte e ciascuno riceveva la razione di pane e le rape. Poco cibo che riempiva lo stomaco! Lei faceva da madre alle altre prigioniere e cosi non c’era invidia e non si litigava: ottima scuola di sopravvivenza.
Fortuna volle che Irma venisse mandata a lavorare alla Siemens. Lavorando al coperto stava al riparo dalle intemperie e dal freddo e come le altre che costruivano pezzi di ricambio per sottomarini, aerei a armi, ben sapeva di salvarsi la pellaccia non prendendo un malessere invernale ma si ripeteva che in quel modo sosteneva la guerra. Il conflitto interiore era pertanto lacerante. Con l’espandersi della fabbrica 3000 prigioniere dovettero essere impiegate nella fabbrica e per guadagnare tempo fu costruito un campo separato per quelle prigioniere. La giovane fece domanda come prigioniera che in capo giusto perché era un posto. Con Rosa Jochmann a modello da imitare cercò di essere giusta, di mantenere l’ordine e la pulizia. All’inizio non c’erano gabinetti ma una latrina e le SS spiavano sempre umiliando le giovani prigioniere. Un modo  per consumarle in modo estenuante, dall’appello del mattino a quello della sera, alle lunghe ore di lavoro, alla marcia in fila di cinque, costrette anche a cantare canti di marcia, cosi come avveniva altrove tutto era pianificato in modo scientifico e deumanizzare attraverso il lavoro era solo un piccolo dettaglio.
 Una delle cose che le donne erano obbligate a fare era trasportare sabbia da un posto ad un altro tanto per fare stancare le donne che avevano vesciche nelle mani. La sabbia andata spianata con un rullo che veniva spinto da dieci prigioniera. Il rullo è ancora visibile  a Ravensbrück.
La giovane in capo desiderava solamente a farcela e si diceva continuamente che doveva lottare non per mangiare pane e rape ma per riuscire ad essere libera per vivere in un paese libero e democratico.
Tutte facevano progetti e si chiedevano come sarebbe stato il dopo da liberi cittadini. Nel contempo non stavano con le mani in mano e avevano sete di conoscenza. Cantavano, recitavano poesie perché era un modo per sentirsi umani e vive. Anche se agli occhi dei Nazisti le prigioniere era considerate meno dei cani che accudivano e quindi erano tormentate in continuazione, picchiate e prese a calci e pugni…
Poiché Irma spesso chiudeva un occhio davanti a ciò che era proibito per punizione fu rimossa dall’incarico perché nuovamente tradita e fu trasferita al campo di sterminio di Uckermarck.  Questo fu un campo giovanile e successivamente, dopo esser stato abbandonato per un breve periodo di tempo, divenne campo di sterminio per donne anziane, disabili, fragili o malate. Un campo in cui le selezioni era quotidiane e dove le donne venivano soffocate in una camera a gas improvvisata. Nessuno sapeva cosa avveniva alle donne ma quando lo scoprirono gli uomini  raccontarono che anche a Ravensbrück, le donne venivano uccise se inutile bocche da sfamare. Alcune venivano avvelenate, obbligate a ingoiare una medicina di cui si diceva  che fosse curativa per coliche e diarrea. Quelle poverette facevano una fine atroce in preda a crampi e dolori terribili, morendo senza avere l’aspetto di esseri umani.  A Uckermark si moriva anche con iniezioni letali al cuore. Così Irma dal momento che era là doveva aiutare le donne ad alzarsi, non essendo né vecchia e né malata, e metterle in fila anse se erano destinate alla morte. Ogni giorno erano contate e dopo la conta venivano selezionate e portate via. Di sera quando in branco venivano allontanate le altre le sentivano, gridare, lamentarsi o resistere ma non potevano vederle perché a loro non era permesso andare fuori. Quelli che si macchiarono di questi crimini, nel processo di Amburgo, furono condannati a morte. Irma fu una testimone preziosa in quel processo che fecero gli Inglesi. Il 28 Aprile del 1945 la giovane fu obbligata a fare la Marcia della Morte verso occidente ma riuscì a fuggire e dopo aver attraversato in modo avventuro, a piedi, Polonia e Cecoslovacchia giunse a  Vienna dove riuscì ad abbracciare la famiglia.  Lei perse il fidanzato e due fratelli e finchè avrà fiato racconterà la sua storia per evitare che possano accadere cose del genere.
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