Appunti su Ravensbrück, breve viaggio nella memoria
Teresa Lazzaro
La
sofferenza m’ha punta troppo presto
mi
sono consumata
sono
cenere che brilla senza desiderio.
Ora,
solo il silenzio mi tiene compagnia
mentre
sono nel fuoco.
Grażyna Chrostowska
Ravensbrück, 13 aprile 1942
Nell’inferno dei campi di
concentramento, al momento dell’arrivo, le donne, costrette a spogliarsi
completamente nude e a lasciare ogni cosa, dalla fede nuziale al fazzoletto,
rasate e tatuate, perdendo la loro dignità e identità, cessavano anche di potere
essere madri. Gravissimo era pertanto il trauma subito dalla disumanizzazione
provocata dalle SS. Condizioni di vita terribili da schiave era ciò che li attendeva
non appena un numero tatuato dolorosamente con inchiostro indelebile le
trasformava in pezzi. Teniamo anche conto del fatto che si giungeva
all’inferno dopo un viaggio di circa cinque giorni e che arrivando, a malapena
coscienti, quando si spalancavano le porte dei vagoni in cui respirare era
stato faticoso, le SS gridavano tenendo a guinzaglio i cani, mostrando la
frusta e prendendo a calci le vittime, costrette a raggiungere il luogo dello
sterminio e rimanere per ore in piedi senza potersi muovere e sopportare le terribili rigide temperature.
La rasatura era un terribile e umiliante
degrado. Poi c’erano quelle che venivano
sfruttate sessualmente. Tutte quelle
deportate nel campo di Ravensbrück raggiungevano il campo a piedi da
Füstenberg.
Nella sua testimonianza,
Jacqueline Péry d’Alincourt, ricorda di aver scoperto molto dopo, che il
famigerato luogo fosse nella Germania settentrionale vicino al Baltico. La
stessa rivive raccontandola, la terribile angoscia subentrata con la confisca
di qualunque cosa, una foto, un libro, una semplice lettera. Per lei fu
terribile, trovarsi completamente nuda, pigiata con le altre e tutte, evitando per la vergogna di guardarsi,
obbligate ad imparare a memoria il
numero assegnato, nel suo caso il 35243,
confinate ad uno spazio ristretto in cui era impossibile avere un attimo di
privacy. Lei, prigioniera politica, arrestata nel settembre del 1943 e
rinchiusa a Fresnes, sei mesi
dopo era stata portata a Romainville, un’installazione militare ad est di
Parigi, dove non più sola, per qualche settimana era riuscita a sentirsi viva!
Lei apparteneva al gruppo francese
conosciute come les politiques,
quelle prigioniere dal triangolo rosso. Dopo tre settimane di isolamento si
riunì con l’amica Geneviève de Gaulle, con la quale avrebbe poi diviso per
alcuni mesi lo stesso pagliericcio!
Le donne del campo di Ravensbrück, determinate a
sopravvivere, riuscirono a sostenersi a vicenda
e ad esprimere sofferenza e disagi in varie espressioni artistiche. In modo
silenzioso riuscirono a lottare e le loro espressioni artistiche, dopo la
guerra, costituirono prove che dimostrano di quali orrori erano state testimoni e
vittime. Quella di Grażyna Chrostowska fu la prima voce
femminile dell’Olocausto ad essere conosciuta anche se poi la risonanza
l’avrebbe avuta quella di Anna Frank, accanto a quelle maschili di Elie
Wiesel e Primo Levi. Oggi grazie a diari, libri e numerose
testimonianze orali, aumenta il numero delle voci femminili conosciute. Poche quelle voci
disponibili in lingua italiana, ma in crescente aumento quelle in altre lingue.
Metà delle vittime furono donne e
la loro esperienza, per motivi biologici, fu diversa da quella degli uomini. Un
fatto interessante emerge dal campo di Ravensbrück: le deportate riuscivano a
scambiarsi regali e ricette. Spesso il loro spirito di adattamento costituì la
loro forza, quella marcia in più, che le donne ebbero, rispetto ai maschi,
per sopravvivere, pur essendo ridotte
peggio di animali sporchi e senza cibo. L’orrore da loro affrontato era
diverso, basti pensare al trauma della rasatura delle loro bellissime chiome e
all’amenorrea che sopraggiungeva.
Cercarono tutte di aiutarsi tra loro e la forza dell’amicizia permise loro di
dare, in quel contesto doloroso, il meglio delle loro capacità mentali.
Ravensbrück fu un campo molto
diverso dagli altri. Non fu concepito come campo di sterminio ma prigione per
disadattate. Essendo situato nella
Germania orientale si è potuto avere accesso in quel luogo soltanto negli anni
Novanta, dopo la riunificazione del paese.
Nel 1935 i Nazisti implementarono
un programma, meglio noto come Lebensborn. In una serie di case, donne singole
o maritate, di “pura” razza potevano far nascere i loro figli che là potevano crescere ben
accuditi. Nello stesso tempo l’aborto divenne illegale per le donne “pure”
mentre aumentarono i controlli sulle nascite e le restrizioni per le altre
donne costrette alla sterilizzazione. Non possiamo dimenticare a tal proposito
la testimonianza di Ceja Stojka, bambina
dall’infanzia rubata, che prima di finire nei campi di concentramento era già
prigioniera da libera e che a
Ravensbrück venne sterilizzata insieme a tante altre deportate, contro
la sua volontà.
Alla fine del 1938 i Nazisti decisero di costruire un campo di prigionia per sole donne a poca distanza da Berlino per
internare il crescente numero di prigioniere politiche che il regime
considerava sgradite. Dal vicino campo
di Sachenhausen arrivarono i prigionieri
per costruire le diverse strutture femminili ai margini del lago vicino il
villaggio di Füstenberg.
Il campo di concentramento di Ravensbrück, aperto il 18 Maggio dell’anno successivo accolse quasi 900 donne tedesche ed
austriache precedentemente internate nella fortezza di Lichtenberg. Fu
utilizzato soprattutto per prigioniere politiche, asociali, criminali,
Testimoni di Geova ed Ebree. Inizialmente costruito per la detenzione di 4000
persone, il campo nel 1945 aveva 50000 prigioniere, provenienti da 23 nazioni.
Diverse le
trasformazioni del luogo che da prigione divenne campo di lavoro, rimanendo
operativo fino al 30 Aprile 1945 quando la Croce Rossa si prese cura delle ultime tremila donne. Le
donne trasferite in questo campo servivano come manodopera per la macchina da guerra nazista. Nel 1944
fu costruito un forno crematorio e nella primavera successiva venne fatta una camera a gas, in cui morirono
6000 donne. In precedenza le donne venivano invece mandate a morire nei
sottocampi o ad Auschwitz. Cambiando le caratteristiche del campo cambiò anche
la tipologia delle deportate. Furono solo 15000 quelle tornate libere con le
proprie gambe! Poi furono anche
trasferiti nel corso degli anni degli uomini da Buchenwald per le riparazioni delle automobili e per
lavori elettrici, uomini che erano alloggiati in una struttura isolata dalle donne.
In media
le donne qui avevano meno di trenta anni e provenivano soprattutto da Polonia,
Russia e Germania. Queste erano le percentuali: 78% prigioniere politiche, 12%
Ebree, 7.1% asociali, 2.8% criminali. Le asociali comprendevano zingare,
prostitute, alcolizzate e senzatetto. Nel triangolo che le deportate dovevano
cucirsi indosso c’era anche l’iniziale del paese di provenienza. L’unico
triangolo che a Ravensbrück non si
vedeva era quello rosa, usato per gli omosessuali. Le SS consideravano l’omosessualità una malattia da
curare, quindi le lesbiche che venivano arrestate rientravano nel gruppo delle asociali,
sebbene negli elenchi accanto al nome c’era
un’annotazione come si legge nella testimonianza di Nanda Hebermann,
cattolica, che fu arrestata nella Cattedrale di Munster l’8 febbraio 1941 per l’aiuto che offriva alla Resistenza e che
scrisse un memoriale sulla sua esperienza, lei che fu costretta a vivere
proprio nel blocco delle prostitute. Donna pia e buona, si trovò malissimo in mezzo a loro il cui linguaggio
era volgare e scurrile e che avrebbe voluto essere in un’altra baracca magari
insieme alle combattenti della Resistenza. Per lo più francesi queste erano
classificate come prigioniere Nacht und Nebel.
Vivevano completamente isolate dal mondo e non potevano né ricevere né
scrivere lettere. Scomparvero senza lasciare tracce e di loro non fu rilasciata
alcuna notizia. Le ceneri delle donne uccise venivano gettate nel lago Schwetd.
Oggi in loro ricordo chi visita il campo
getta rose nelle acque del lago.
Molti
disegni fatte dalle deportate del campo mettono in evidenza il sovraffollamento
ed una prigioniera politica, Nina Jirsikova ne fa un quadro alquanto
umoristico. Il disegno conosciuto come Block Assignment fa vedere le donne
una sull’altra. Dalle figure si notano le diverse nazionalità e la mancanza di
privacy. Accumunate solo dall’essere donne, tutte di etnia e religione diversa!
E nel disegno si notano le babuskas,
tipiche babucce russe.
L’ideologia
della razza spingeva le SS a trattare le donne secondo una scala gerarchica, così
le tedesche erano trattate meglio delle scandinave e delle polacche. Anche chi
aveva il triangolo nero, da asociale, o il triangolo verde da criminale era
trattata meglio di altre. Pertanto le deportate mal sopportavano chi aveva
“potere” come le kapò, in genere asociali
e criminali che facevano abusi di potere, che torturavano, che decidevano chi
andava punita, che potevano avere qualcosa in più da mangiare e che potevano
favorire alcune internate solo per simpatia.
Tale odio per le kapò è espresso nei disegni in cui appaiono come figure
grottesche ma anche ironiche nei confronti delle altre. Erano vestite meglio
perché rubavano o perché si procuravano dei capi in modo illecito. Nei processi dopo
la guerra due delle kapò di Ravensbrück subirono la condanna a morte per aver
collaborato con le SS mandando gente
nella camera a gas.
Legami di
tipo religioso o politico furono meno importanti della solidarietà e del patriottismo sebbene nella sua vasta testimonianza Corrie Ten Boom
affermasse di essere cristiana prima ed olandese dopo. Nanda Herbermann vedeva
se stessa prima cattolica e poi tedesca
e condannava i suoi compatrioti per il comportamento immorale. Le comuniste
erano tra loro molto legate prima per l’ideologia e poi per orgoglio nazionale.
Questo variava a seconda dei gruppi e
insieme alla posizione sociale è stato determinante per la loro sopravvivenza.
Memoriali
e poesie sul campo di Ravensbrück
confermano l’esistenza di pregiudizi. Zingare ed Ucraine era anche
target di discriminazione. Considerate infantili ed ignoranti venivano
emarginate perché avevano portato i pidocchi e se veniva a mancare qualcosa erano
loro ad essere accusate di fare ciò che altre non avrebbero osato fare, anche
rubare un arto artificiale!
Peggiori
le considerazioni per le ucraine considerate maligne e pronte a prendersi quel poco che altre le
deportate avevano. Un altro gruppo indesiderato era quello delle prostitute, considerate
delinquenti e crudeli. Soggette a devianza, perverse erano accusate di essere
lesbiche. Interessate solo a rapporti intimi
le polacche si baciavano sulla bocca e mettevano a disagio le francesi.
Molte ebbero rapporti da lesbiche come
l’unico modo per superare la solitudine ed evitare isterismi ma erano spesso accusate di furti e di
terrorizzare le altre. E’ difficile trovare qualche testimonianza che non le
stigmatizzi.
C’era nel campo anche il sottobosco culturale e le
Jules erano coloro che fisicamente assomigliavano ad uomini. Pertanto come tali
vestivano. Venivano scelte come kapò ed in una delle poesie Charlotte Delbo
descrive i loro rapporti intimi come quelli di coppie legalmente sposate mentre
le altre sono stanche morte in quella specie di strapuntini. Le Jules godevano di protezione e vivevano
meglio grazie a compiti di lavoro più leggeri, razioni di cibo più grandi e
qualche vestito in più.
Spesso
costrette in tre in un “letto” il freddo le costringeva a tare strette
strette per scaldarsi e la cosa a volte
sfociava in qualche relazione illecita. A volte erano amicizie solidali a sfociare nell’intimità. L’affetto
le rendeva umane ed era l’unico modo per sentirsi tali e quindi per
sopravvivere. Era importante cercare di creare dei legami, lontano dalla
propria famiglia, per sopportare le sofferenze
e poter dipendere le une dalle altre dava loro molta forza. E’ chiaro dunque che chi era isolata
soffriva di più. L’amicizia tra due o più donne era più forte di quella che
poteva esistere tra gli uomini. Lo stesso Wiesel abbandonò il proprio padre.
Gli uomini potevano essere accusati di omosessualità e per questo motivo non
creavano legami tra loro. Le donne al contrario per questo tipo di rapporti
ebbero una chance di sopravvivenza maggiore.
Chi non
aveva legami era esclusa dalla vita del campo, come fu il caso di Helen Ernst,
un’artista che a Ravensbrück venne accusata di essere arrogante nei confronti
delle altre. Lei si isolò dagli altri vivendo nel proprio mondo senza dar peso
a quanto potevano pensare gli altri di lei. Disegnare fu per lei una medicina, un modo per guarire dall’abisso
in cui era sprofondata nel campo. Disegnare era un lottare ma nel suo caso la
sua riservatezza fu presa per arroganza
mentre nei suoi disegni lei mette in evidenza la mutua assistenza e teneri atteggiamenti che permettevano alle
donne di confortarsi tra loro.
Tra le artiste
deportate a Ravensbrück merita di essere
ricordata Aat Breuer, i cui disegni sono
arrivati fino a noi. Artista di grande talento catturò l’anima e le emozioni
delle cose in quei tanti ritratti di bambini: unico ricordo rimasto alle madri
che persero i figli. Chiederle di fare ritratti di defunti serviva ad onorare la persona per la quale non c’era
funerale. Anche se nel campo di concentramento si moriva per le dure condizioni
di vita nei suoi disegni l’artista
ritrasse le persone avvolte nella pace e nella bellezza.
Nelle
poesie gli uomini raccontavano le brutture del campo mentre le donne il loro desiderio della casa o della famiglia.
Poesie e disegni erano doni gli uni per le altre, a volte, erano preferiti
anche a un tozzo di pane. Lo scambio di doni era il pretesto per un sorriso, un
modo per sentire la propria umanità. Ammirevole che trovassero la forza di
farlo. Spesso infatti per una matita rinunciavano a quel poco cibo. Le donne
nascondevano poesie e disegni nei loro stracci o nei muri delle baracche, ben
sapendo che se gli trovassero indosso qualcosa significava morire. Le
donne non solo scrissero testi di poesia
propri ma fecero raccolte dei propri tesori culturali, di poesie, canzoni, favole,
ricette. Quanto è arrivato fino a noi rivela anche il senso dell’umorismo in
mezzo all’indescrivibile orrore. Un biglietto dato ad una donna che era stata
vittima di esperimenti medici aveva l’immagine di un coniglio. Nel 1944 per Natale Aat Breur fece un biglietto in cui
Babbo Natale schiacciava il campo portando morte: significativo del fatto che
per le donne non c’era nessuna festa di Natale.
Per quanto riguarda il campo di concentramento delle donne, scritti e
disegni, furono fatti durante gli anni
di internamento e dopo la guerra. Sono
una finestra aperta su quel posto. Le donne rubavano materiali mentre
lavoravano in fabbrica per scrivere o per disegnare o per cucire. Le poesie le
imparavano a memoria e le recitavano durante il lungo appello. Era un modo per
lottare, proprio perché proibito. In un ambiente in cui avevi solo quanto
indossavi, io disegno, la poesia , il dono erano quell’IO che nel campo non
potevano essere. Una piccola cosa importante per non farle sentire solo il
numero tatuato. Una piccola cosa per tenere la donna legata alla vita. Una
piccola cosa che rappresentava il coraggio, l’ingenuità, la voglia di vivere.
Una piccola cosa che rappresentava il
futuro da vivere fuori dal campo.
Grażyna Chrostowska nacque il 21 ottobre 1921 a Lublino
in una nobile famiglia polacca. Orfana di madre dal 1932 il padre si occupò
della sua formazione umanistica facendole frequentare una scuola adatta ai suoi
interessi. La fanciulla amava l’arte, scriveva versi e prosa, amava il teatro e
il cinema. Apparteneva anche a un gruppo Scout. Dopo l’occupazione della
Polonia il padre divenne uno dei capi del KOP movimento di difesa della Polonia
cosi lei cominciò a distribuire un volantino periodico “Vite polacche”. Venne
arrestata per la sua attività insieme al padre l’8 Maggio 1941. Michael Chrostowoski
fu deportato e ucciso ad Auschwitz mentre lei fu rinchiusa per mesi dalla
Gestapo nel Castello di Lublino. Il 12 settembre di quello stesso anno fu
trasferita a Ravensbrück. A beffa
dei Nazisti le poesie che scrisse durante il periodo vissuto nel campo di
concentramento uscirono dall’inferno. Ne
parlò la BBC a Londra dandone notizia nel 1943. Ventenne, i cui sogni erano
finiti nell’acqua, sentiva che fuori c’era solo indifferenza. Si sentiva
impotente e la natura intorno a lei cambiava con le stagioni. Costruzioni
grigie allineate laddove pesante era il respiro della disperazione e tutto si
perdeva nel silenzio nel giorno della sua fucilazione. Quel giorno Grażyna in una poesia lo
paragonava alla musica di Chopin. Anche gli uccelli erano impauriti, tutto era
quieto. Nella calma prima della tempesta, nel cuore intriso di nostalgia per i
cari lei sognava di camminare nelle pozzanghere, voleva ascoltare il vento e
sentire il respiro della primavera. Sognava l’amore e minacciose erano le
nuvole trafitte dall’inquietudine così come in quello stesso giorno la
fucilazione poneva fine anzitempo alla sua giovane vita. Era il 18 Aprile 1942
con lei morivano i suoi sogni e quelli
di altre giovani polacche.
Rosi Maria Elizabeth
Mauskopf nacque a Sulus al confine con l’Ungheria e la Slovacchia il 13 Gennaio
1928. I suoi genitori Ebrei della Slovacchia e dell’Ungheria avevano una
piccola libreria. Nel 1941 la mandarono a Budapest perché si prendesse cura di
una zia malata. Mentra la famiglia veniva deportata ad Auschwitz nel 1943 la
fanciulla rimase nel ghetto di Budapest. Rastrellata con altri Ebrei fu obbligata
a raggiungere a piedi il confine austriaco da dove fu condotta a Ravensbrück.
Rosi fu messa nella cella di punizione diverse volte per l’attività che
svolgeva nel campo. Alla fine del 1944 fu sterilizzata e poi fu trasferita a
Bergen Belsen. Quando la Croce Rossa svedese liberò il campo fu portata in
Svezia dove nei dieci anni successivi
ebbe trenta interventi chirurgici per i maltrattamenti subiti.
Milena Jesenka, scrittrice di talento era nata il 10
agosto 1896 a Praga in Cecoslovacchia. Sposando il banchiere Ernst Polak, si
trasferì con lui a Vienna. Molto amica di Franz Kafka quando divorziò dal
marito si unì alla Resistenza. La Gestapo la arrestò e la mise in prigione nel
1939 e poiché non era colpevole fu mandata a Ravensbrück per seguire il programma di rieducazione nazista.
Nel 1943 Milena subì un intervento ai reni. Morì il 17 maggio 1944 in seguito
ad un infezione all’altro rene. Margarete Buber Neumann che divenne amica di
Milena nel tempo della deportazione, scrisse un libro su di lei.
Marianne Katharina Pick, nota
come Käthe era l’ultima figlia di Josef
Pick un noto avvocato molto agiato la
cui famiglia, ebrea, aveva una industria
tessile. La bimba nacque a meno di un anno dalla sorella che era bellissima
come la madre, Lotte Rubenstein, colta
figlia di banchieri rumeni. Käthe venne alla luce il 20 agosto 1895 a Vienna. Da ragazzina cominciò a preoccuparsi dei meno
fortunati, facendo la volontaria in un asilo per figli di lavoratori. Avrebbe voluto studiare legge, ma in Austria
non era possibile e cosi si laureò
all’Università di Heidelberg sugli
scambi commerciali tra il suo paese e Italia, quando era alquanto insolito per le
donne laurearsi. Lei e il marito Otto Leichter divennero leader del partito
Social Democratico in Austria, lui come editore di Die Arbeiter-Zeitung e lei come funzionario del partito.
Entrambi presero parte alla Resistenza. Nel 1934 il marito e i
due figli riuscirono a trasferirsi in Svizzera per poi trovare rifugio negli
Stati Uniti. Anche lei nel 1938 era pronta ad andare all’estero ma andando a
salutare la madre, venne arrestata dalla Gestapo per una soffiata. Käthe
Leichter fu accusata di alto tradimento. A Ravensbrück
giunse nel gennaio 1940 e per i due anni di permanenza nel campo lei cercò sempre di
essere una leader per le donne con cui venne a contatto. Nel Gennaio 1942 fece parte del gruppo di 1500 ebree scelte per essere trasportate a
Bernburg dove morì nella camera a gas.
Un urna con le sue ceneri e l’ultima lettera da lei scritta ai figli fu
restituita alla famiglia. Rosa Jochmann,
una sua cara amica di Vienna la ricordò
così “ Arrivò il giorno e poiché io ero l’anziana del blocco ebbi il permesso
di arrivare alla strada del campo. La tenni per mano. Non saprò mai se sapesse
che era giunta la fine. La vedo seduta ancora sul camion, nel freddo gelido,
con quei meravigliosi occhi blu darci un
addio con la mano.”
Rosa Jochmann
nacque in Austria il 19 luglio 1901 ed anche lei lavorò come membro del
partito Social Democratico finché la Gestapo l’arrestò nel 1939 perché faceva parte della Resistenza. Rosa fu mandata a Ravensbrück
nel 1940 e divenne l’anziana della Baracca Uno. Nel 1943 venne messa nel
bunker delle punizioni perché aveva organizzato da mangiare per altre detenute.
Dopo la Liberazione del campo Rosa
organizzò il ritorno a casa di deportate austriache continuando ad avere un
ruolo attivo in politica. Per molti anni fu membro del Senato, sempre tra i Social
Democratici. Morì il 29 Gennaio 1994.
Charlotte Müller
nacque nel 1912 in Turingia ma era cresciuta a Chemnitz dove la famiglia si
trasferì nel 1923 perché aveva legami con i Testimoni di Geova. Nell’agosto del
1936 la Gestapo l’arrestò per aver prodotto e illegalmente distribuito
letteratura religiosa. Dopo due anni di detenzione rifiutò di firmare la
rinuncia alla propria fede e fu immediatamente mandata al campo di Lichtenburg,
dove con altre centinaia di Bibelforscher venne severamente punita per la non
partecipazione alle cerimonie patriottiche. Nel maggio del 1939 fu trasferita a
Ravensbrück e per un anno fu rinchiusa in cella d’isolamento quando rifiutò di
portare la bandiera con la swastica. Nel
1945 si riunì con la famiglia ma cinque anni dopo fu arrestata di nuovo per
motivi religiosi dal regime comunista che le fece scontare altri sei anni di
detenzione.
Renée Mirande-Laval nacque il 31
agosto 1908 a Parigi dove intraprese la carriera forense dopo la laurea in
legge. Durante l’occupazione nazista difese in tribunale membri della
Resistenza che furono arrestati. La Gestapo l’arrestò nel marzo 1943 e la mandò
a Ravensbrück dove dai primi giorni decise di essere testimone di quanto
accadesse nel campo. Dal momento del rilascio fece parte dell’organizzazione
“L’Amicale de Ravensbrück cui presero
parte le francesi sopravvissute all’inferno di questo campo. Successivamente fu
la prima presidente del “Comitee
International de Ravensbrück.
Per quanto riguarda le prostitute è d’uopo ricordare il pensiero di Irma
Trksak viennese, sopravvissuta
all'inferno di Ravensbrück. Secondo lei quando furono liberate, alla fine della
guerra, queste donne erano rottami umani. Ogni giorno avevano dovuto concedersi
ad un'infinità di uomini. I lager le
distrussero, rovinandole per sempre. La prostituzione forzata nei campi di sterminio è
ampiamente documentata e nel 2007 ci fu una mostra a Neuengamme intitolata "Sex-Zwangsarbeit in
NS-Konzentrationslagern" . L’infame
capitolo del Terzo Reich fu voluto da Himmel che l’11 giugno 1942 firmò un
decreto per autorizzare i comandanti dei lager «a fornire femmine nei
bordelli ai detenuti più laboriosi». La
prostituzione era considerata come «un incentivo» di produttività visto che
i deportati dovevano sostenere l’economia bellica lavorando nei lager. Era una specie di
«premio di produzione» riservato pertanto alle donne instancabili. Nella
mentalità nazista, il sesso, doveva
stimolare la laboriosità degli internati e costituire un forte deterrente
contro l'omosessualità che esisteva nelle baracche. Il bordello del lager non
doveva dare nell’occhio proprio come i
forni crematori.
Storicamente nel giugno 1942 fu aperta
a Mathausen la prima baracca a luci
rosse. La baracca era circondata da filo
spinato. Le prostitute concentrate a
Ravensbrück furono da lì smistate
nei bordelli che di solito erano accanto
alle camere a gas. Privilegiate per la qualità del cibo e dell'alloggio e per
l'igiene personale, le venti prostitute prescelte per lavorare nel bordello,
erano sepolte vive perché non potevano mai uscire all'aperto nel tempo
libero. Le donne venivano rimpiazzate
spesso, perché chi contraeva qualche malattia poi andava trasferita altrove per
sentenza di morte. La maggior parte di esse, dopo la guerra e i processi, non
ebbe alcun risarcimento. La visita al
bordello era scrupolosamente regolamentata dai burocrati di Adolf Hitler.
L'incentivo sessuale era negato alle donne ebree e russe. Occorreva presentare
una richiesta scritta, la cui autorizzazione veniva resa nota pubblicamente
durante l'appello mattutino. Era autorizzato soltanto "un coito in
posizione normale" e una finestrella serviva a quelli col triangolo per
controllare che la norma fosse
rispettata. Il costo era di due marchi del Reich per venti minuti di
prestazione. Pare che gli omosessuali fossero costretti a frequentare i
bordelli per guarire dalla loro malattia.
A Ravensbrück
come a Dachau ed in altri campi di sterminio i Nazisti usavano
altoparlanti per infastidire e torturare
i detenuti in modo particolare la domenica pomeriggio quando le guardie
trasmettevano programmi musicali ad un volume assordante. Questa terribile
tortura permetteva alle donne di parlare sottovoce senza essere sentire. Per
coloro che amavano la musica ascoltare tali programmi rappresentava un
piacevole diversivo. Così l’ascolto di Schubert e Mozart rappresentava un
grande godimento dopo aver sopportato l’ascolto di canti militari. Infatti i canti militari per molti erano una forma di tortura perché non essendo di
madre lingua tedesca era difficile imparare le parole ed estenuante ed
umiliante l’essere pure costrette a cantare. Quelle che avevano un qualche
talento musicale erano inoltre obbligate ad esibirsi in concerti privati per le SS.
L’avventura di una sopravvissuta fedelmente tratta da un’intervista a Irma
Trksak su Memory portale di testimonianze.
Irma Trksak è
nata a Vienna il 2 Ottobre 1917 dove i genitori Stefan ed Anna si erano
trasferiti dalla Slovacchia a trovare lavoro. Finita la guerra il padre che era
un bravissimo calzolaio cambiò mestiere e fece carriera in una fabbrica di
ghiaccio. La famiglia composta dai due genitori e quattro figli viveva pertanto di un solo stipendio e
permise ai figli Irma, Anna, Stefan e Jan di frequentare scuole Ceche e di
parlare Tedesco, Slovacco e Ceco. Irma riuscì a diplomarsi, cosa insolita, per
una ragazza e del proletariato,
oltretutto, dopo aver frequentato il Comensky
Realgymnasium. Dopo gli esami riuscì anche a frequentare per un anno
l’Accademia dell’istruzione a Praga e riuscì dopo ad avere un lavoro come
insegnante di un scuola primaria ceca a
Vienna. Ebbe anche un incarico in una scuola Slovacca. Tuttavia quando l’
Austria venne annessa alla Germania, le
scuole furono chiuse e la giovane Irma cominciò a studiare Lingue Slave
all’Università di Vienna. In quel periodo cominciò a collaborare nella
Resistenza, sia nell’ufficio censura per le lettere scritte in lingue slave ma
anche nel gruppo di associazione Ceca per lo sport. Tutto accadeva
nell’associazione. Il Terzo Reich prese di mira gli Slavi, che erano
perseguitati come gli ebrei e gli zingari, in quanto di razza inferiore come
era stato stabilito dall’autore di "Mein Kampf". "
Nella primavera del 1939
Irma Trsak partecipò ad un attentato. Nel 1941 fu arrestata dalla Gestapo e
detenuta per una anno nella prigione Roßauer Lände, utilizzata dalla famigerata polizia. Alla
fine del 1942, la giovane donna fu mandata a Ravesbrück con un trasporto. Nel campo di concentramento incontrò Rosa
Jochmann, donna socialdemocratica molto conosciuta anche all’estero per la
lotta contro il Fascismo e l’oppressione.
Nel campo di
Ravensbrück Irma Trsksak fu mandata a lavorare alla fabbrica della
Siemens, ed era una prigioniera con incarico di supervisione finché non essendo
accusata di tradimento non venne mandata nel vicino campo di sterminio di
Uckermark.
Il 28 Aprile 1945
le SS la mandarono con tutte le
alter deportate verso ovest in una Marcia della Morte per evitare l’arrivo
delle truppe Russe. Irma riuscì a scappare e dopo avere attraversato a piedi
Polonia e Cecoslovacchia riuscì ad
abbracciare i genitori. Venne così informata del decesso dei due fratelli e di
tanti amici. Nel 1946 partecipò ai processi di Amburgo tenuti dagli inglesi
contro i responsabili del campo di concentramento di Ravensbrück.
Irma Trksak non è sposata ma è madre di un figlio.
Dopo la guerra lavorò per un anno per la delegazione cecoslovacca che
pubblicava un settimanale in lingua Ceca. Poi rimase a casa e in seguito fece
diversi lavori nel settore privato finché
da pensionata non è diventata segretaria della società austriaca del
campo di Ravensbrück ed ha lavorato anche a Vienna per
l’Associazione del Campo di Concentramento.
Irma Trksak ricorda bene
come la propaganda mostrasse sempre solo gente che inneggiava al Terzo Reich. Nei brevi filmati settimanali
che erano sui notiziari la gente allegra
che osannava a Heldenplatz non tutti
erano Viennesi. Molti erano trasportati
su camion ed i bambini erano costretti a sfilare in righe mostrando le
bandiere. Era volontario ma orchestrato in parte ed Irma era convinta che la gente che restava in
casa era quella che aveva paura ed era preoccupata del proprio futuro. Questa
gente non si fece mai vedere in pubblico.
La gente che sapeva cosa sarebbe successo, sapeva che
avrebbe resistito a quanti condanna ano le decisioni prese con l’occupazione,
la violenza contro gli Ebrei, gli arresti legali e illegali. Questa gente non
si faceva mai vedere. Chi si informava sapeva e allora si convinceva che
bisognava fare qualcosa, lottare, agire. Non accadde da un giorno all’altro,
non erano pronti. Così prima pensarono e poi fecero di gruppi ed era tanta la
gente che la pensava allo stesso modo.
Nessuno pensava di essere
in pericolo. Il desiderio di
resistere e difendersi spinse molti all’opposizione senza pensare che poteva
essere pericoloso. Nessuno immaginava di poter essere arrestato, Non erano cospiratori e per questo non pensavano
di poter essere arrestati. Quando poi si venne a sapere che la gente deportata
finiva nei campi di concentramento cominciarono ad essere più cauti. C’erano
tra i membri della Resistenza degli infiltrati che spiavano e passavano
informazioni quindi tutti dovevano stare molto attenti perché i progetti
andassero a buon fine.
Le donne cercavano di
resistere a qualunque costo. Le donne erano considerate solo come macchine di
riproduzione per fare tanti figli in modo da creare un impero millenario. Non
venivano prese sul serio anche perché non avevano mai avuto ruoli nei partiti
politici, cosa che spinse i Nazisti a non comprendere fino a che punto il loro
lavoro potesse essere importante. Facevano lo stesso lavoro degli uomini e non
da sole. Lavoravano insieme con gli uomini. Sebbene inesperte, queste giovani
donne riuscirono a salvare la propria vita solo perché i Nazisti non le
ritennero capaci di resistere. La donna infatti rammenta di non essere stata
bastonata. Incatenata si, faccia al muro, insultata ma mai colpita.
Un atto di disobbedienza
della giovane Irma fu quello di acquistare nei negozi degli ebrei. Come
insegnante di lingua ceca e di lingua slovacca era diventata amica di
moltissimi ebrei che erano suoi allievi. Una volta che tornava a casa dopo aver
fatto lezione vedendo un negozio con la stella gialla davanti al quale c’era
scritto “ariani non acquistate dagli ebrei” lei entrò ed acquisto cento grammi
di fettine di maiale. A quel punto uno che era appostato davanti al negozio
cominciò a litigare. Questa porca ariana compra da un ebreo, continuando a dire
è un’ebrea, non è un ebrea, si è
un’ebrea mentre lei gettando a terra il cartello andò via. Riuscì ad evitare l’
arresto quella volta.
Secondo i
Nazisti contro Irma c’erano tre
capi d’accusa. La giovane era innanzitutto colpevole di aver disegnato
volantini prima della guerra. Volantini in cui si spiegava il significato della
presenza di Hitler e che pretendeva dell’alto con il lavoro che dava. Perchè
offriva lavoro se non per convertire le fabbriche in fabbriche di munizioni. Le
strade che costruiva gli servivano per fare arrivare in altri paesi i sui carri
armati. Voleva sottomettere conquistare nazioni e ucciderne la popolazione.
Questo volantinaggio fatto prima dello scoppio della guerra costituiva un alto
tradimento.
I giovani della Resistenza scrivevano catene di
lettere ai soldati attraverso il numero d’assegnazione dei campi. Troppo lunga
la spiegazione sul come veniva fatta la catena, ma era il modo per fare avere
lettere ad ogni soldato. Quelli che avevano fatto esperienza militare fornivano
numeri cosi la Resistenza cercava di chiedere
cosa volesse Hitler con una guerra non loro essendo cittadini di
un’altra nazione e sottolineavano di non essere tedeschi e di essere costretti
come cittadini austriaci ad unirsi all’esercito. Poiché non tutti erano eroi,
chi disertava era punibile con la morte perciò la resistenza incoraggiava i
giovani a non essere violenti, a non sparare e se possibile a non combattere
contro il nemico. Cercavano di spiegare le vere intenzioni di Hitler ai soldati
affermando che si trattava di una guerra di conquista per creare un impero
millenario. Fortunatamente si trattò soltanto di sette anni ma le truppe erano
demoralizzate.
La Resistenza cercava di mettere sabia nei macchinari
da guerra. Cercarono di avere contatti
con gli addestratori e quando si accorgevano che ci si poteva fidare venivano
incoraggiati a non mantenere gli orari cosi le armi non arrivavano al fronte e
i prigionieri arrivavano in ritardo nei campi di concentramento. Cercavano di creare caos anche se ciò cominciò ad avvenire comunque. Per rallentare
tutto un po’ venivano commessi atti di sabotaggio Quando si raccontava a
qualcuno di questi piccoli atti di sabotaggio si rideva a squarciagola. Spesso cercavano di dare a fuoco nei depositi
in cui arrivavano uniformi, biciclette o quant’altro che magari era stato
rubato o anche le cose che i prigionieri si erano portati dappresso. Se
l’incendio non bruciava tutto il deposito quantomeno lo danneggiava. Per attira
l’attenzione di tutti vennero bruciate scatole di paglia o fieno nel Lobau così
la gente ne parlò e ci furono anche degli articoli sui quotidiani. La
Resistenza cercava di informare la popolazione che non era vero che i Tedeschi
erano vittoriosi come volevano far credere e così poteva comprendere che
c’erano anche le sconfitte e poteva pensare e leggere tra le righe la verità e
pertanto, almeno in parte, ci riuscì.
Quando era necessario i giovani si incontravano negli
appartamenti e quando non fu più possibile fare I volantini fuori la Resistenza
lo fece in casa di un giovane. Purtroppo i Nazisti trovarono la macchinetta che
il giovane aveva seppellito nel giardino della sua casa vicino Steinhof. La
trovarono perché notarono che la terra era stata smossa di recente e quindi
costituì una prova schiacciante. Non fu possibile dire di non aver fatto nulla
perché trovarono anche copie dei volantini che erano stati distribuiti. Non
potendo negare l’evidenza Irma che era studentessa apprendista al Tagplatt, una
sera tornando a casa trovò ad attenderla
la Gestapo per farle alcune domande. L’interrogatorio durò quattro anni perché
fu arrestata e messa in prigione. Dapprima la giovane non potette avere
contatti con la famiglia ma molto tempo dopo diedero il permesso alla famiglia
di portarle dei vestiti e uno spazzolino da denti. Per un anno la giovane fu
tenuta in isolamento, al piano superiore dove c’erano anche le celle di
isolamento per uomini. Irma faceva parte di un gruppo di quattro donne, ognuna
in isolata come in cella da soli erano
gli uomini e si trovavano tutti a Roßauer Lände. Ovviamente chi era in
cella di isolamento a distanza di anni
ricorda ancora come Irma quanto fosse atroce stare lì dentro. Le minuscole
celle non permettevano di fare più di tre passi, avanti o indietro. Le donne ricevevano
un boccale d’acqua per lavarsi e non potevano andare nel lavatoio per via degli
uomini. Per un anno intero in cella senza lavarsi cosi Irma ricorda di aver
fatto una doccia solo poco prima che la portassero a Ravensbrück . Un intero
anno senza lavarsi, senza leggere senza nulla di nulla, un anno coi capelli
sporchi, in anno in cui le giornate trascorsero facendo avanti e indietro tre
passi alla volta, giorno dopo giorno.
Quella solitudine li fece ingegnarsi a fare dei contatti e riuscirono a
comunicare tra loro a colpi di vite, la vite che teneva attaccati i letti di
due diverse celle. Anche Irma presto imparò che un colpo era la lettera A, due
colpi la B, tre la C e cosi di seguito. Il prigioniero della cella accanto
prese quindi a comunicare con Irma. Si
conoscevano ed anche lui era del 21mo distretto di Vienna. Più piccolo di lei
fu fucilato! La mente li spronava a scambiarsi battute per evitare di pensare
all’incerto futuro o a quanto fosse loro accaduto. Non sapevano che sarebbero finiti in campi di
concentramento. Li portavano fuori dalla cella solo per interrogarli, non
avevano informazioni di nessuno e sfortunatamente il giovane della cella
accanto a quella di Irma morì.
Tutti erano strettamente controllati e con la Gestapo
alle calcagna. Il desiderio di ognuno era di avere contatti con altri esseri
umani a parte il guardiano che controllava ogni trenta minuti a turno con
l’ufficiale della Gestapo. E poiché le celle d’isolamento erano sullo stesso
piano delle SS questi ufficiali erano sempre pronti per interrogare i
prigionieri. Quindi anche usare il gabinetto ed essere guardati dallo spioncino
era imbarazzante. Poiché il controllo era ogni mezz’ora bisognava calcolare
quando andare a fare pipì. E Wastl era il soprannome che i prigionieri davano
agli spioni. La giovane Irma all’inizio sobbalzava e cercava di coprirsi e per
quanto fosse umiliante essere osservata in una tale situazione poi pensò di non
farci caso che la spiassero ii suoi nemici e così cantava, anche se era
proibito.
Dopo un anno di prigionia la ragazza Viennese fu
trasferita con le altre dieci donne che
erano state in celle d’isolamento a Ravensbrück. Le altre che non erano appartenenti al gruppo
principale della Resistenza egli uomini
invece furono mandati a Mauthausen. Dopo un lungo viaggio in treno e soste in
prigioni infami, come Praga, Pangrac,
Leipzig e Alexanderplatz (prigione di Berlino che non esiste più)
giunsero finalmente a Ravensbrück. La vista di questo luogo accompagna ancora
Irma che sente ancora le grida e gli insulti delle SS, e poi le donne che
piangevano per l’umiliazione. Tutte comprese donne anziane e bambini dovevano
spogliarsi e lasciare nude i lavatoi. Le SS, tutti uomini passavano tutte le
donne in rassegna col fucile puntato e ridendo e alla vista di donne anziane i
commenti negativi non mancavano. Le donne venivano rasate, e in un tempo in cui
i capelli erano l’orgoglio della donna quando ciò avveniva era un grosso
trauma. Le rasavano se avevano pidocchi e
se avevano rapporti con polacche o ucraine oltre alla perdita dei capelli
c’erano 25 colpi di frusta.
Lungo la
strada principale del campo si potevano vedere quelle che erano
rassegnate, che avevano perso ogni speranza, ridotte pelle ed ossa dalla fame,
sporche e piagate, quasi pazze e impaurite che le SS consideravano come
preziosi tesori. Irma ricorda tutto ancora vividamente anche se fu fortunata
rispetto a quante persero la vita. Dopo essere stata in quarantena la giovane fu trasferita nello stesso blocco di celle
in cui si trovava anche Rosa Jochmann, Viennese e combattente della
Resistenza austriaca. In prigione anche
lei da molto tempo avendo saputo che noi eravamo Cechi di Vienna e prigioniere
politiche era riuscita a farci trasferire in quel blocco dove c’erano
prigioniere politiche di diverse nazionalità e Irma si ritenne fortunata a
stare con una persona che sapeva incoraggiare
tenendo l’ordine ed essendo giusta mentre in altri blocchi le
prigioniere anziane rubavano a volte il pane altrui.
In quanto esseri umani, I morsi della fame erano
terribili. Rosa tagliava il pane davanti a tutte e ciascuno riceveva la razione
di pane e le rape. Poco cibo che riempiva lo stomaco! Lei faceva da madre alle
altre prigioniere e cosi non c’era invidia e non si litigava: ottima scuola di
sopravvivenza.
Fortuna volle che Irma
venisse mandata a lavorare alla Siemens. Lavorando al coperto stava al riparo dalle intemperie e dal
freddo e come le altre che costruivano pezzi di ricambio per sottomarini, aerei
a armi, ben sapeva di salvarsi la pellaccia non prendendo un malessere
invernale ma si ripeteva che in quel modo sosteneva la guerra. Il conflitto
interiore era pertanto lacerante. Con l’espandersi della fabbrica 3000
prigioniere dovettero essere impiegate nella fabbrica e per guadagnare tempo fu
costruito un campo separato per quelle prigioniere. La giovane fece domanda
come prigioniera che in capo giusto perché era un posto. Con Rosa Jochmann a
modello da imitare cercò di essere giusta, di mantenere l’ordine e la pulizia.
All’inizio non c’erano gabinetti ma una latrina e le SS spiavano sempre
umiliando le giovani prigioniere. Un modo
per consumarle in modo estenuante, dall’appello del mattino a quello
della sera, alle lunghe ore di lavoro, alla marcia in fila di cinque, costrette
anche a cantare canti di marcia, cosi come avveniva altrove tutto era
pianificato in modo scientifico e deumanizzare attraverso il lavoro era solo un
piccolo dettaglio.
Una delle cose che le donne erano obbligate a
fare era trasportare sabbia da un posto ad un altro tanto per fare stancare le
donne che avevano vesciche nelle mani. La sabbia andata spianata con un rullo
che veniva spinto da dieci prigioniera. Il rullo è ancora visibile a Ravensbrück.
La giovane in capo desiderava solamente a farcela e
si diceva continuamente che doveva lottare non per mangiare pane e rape ma per
riuscire ad essere libera per vivere in un paese libero e democratico.
Tutte facevano progetti e si chiedevano come sarebbe
stato il dopo da liberi cittadini. Nel contempo non stavano con le mani in mano
e avevano sete di conoscenza. Cantavano, recitavano poesie perché era un modo
per sentirsi umani e vive. Anche se agli occhi dei Nazisti le prigioniere era
considerate meno dei cani che accudivano e quindi erano tormentate in
continuazione, picchiate e prese a calci e pugni…
Poiché Irma spesso chiudeva un occhio davanti a ciò
che era proibito per punizione fu rimossa dall’incarico perché nuovamente
tradita e fu trasferita al campo di sterminio di Uckermarck. Questo fu un campo giovanile e successivamente,
dopo esser stato abbandonato per un breve periodo di tempo, divenne campo di
sterminio per donne anziane, disabili, fragili o malate. Un campo in cui le
selezioni era quotidiane e dove le donne venivano soffocate in una camera a gas
improvvisata. Nessuno sapeva cosa avveniva alle donne ma quando lo scoprirono
gli uomini raccontarono che anche a
Ravensbrück, le donne venivano uccise se inutile bocche da sfamare. Alcune
venivano avvelenate, obbligate a ingoiare una medicina di cui si diceva che fosse curativa per coliche e diarrea.
Quelle poverette facevano una fine atroce in preda a crampi e dolori terribili,
morendo senza avere l’aspetto di esseri umani.
A Uckermark si moriva anche con iniezioni letali al cuore. Così Irma dal
momento che era là doveva aiutare le donne ad alzarsi, non essendo né vecchia e
né malata, e metterle in fila anse se erano destinate alla morte. Ogni giorno
erano contate e dopo la conta venivano selezionate e portate via. Di sera
quando in branco venivano allontanate le altre le sentivano, gridare,
lamentarsi o resistere ma non potevano vederle perché a loro non era permesso
andare fuori. Quelli che si macchiarono di questi crimini, nel processo di
Amburgo, furono condannati a morte. Irma fu una testimone preziosa in quel
processo che fecero gli Inglesi. Il 28 Aprile del 1945 la giovane fu obbligata
a fare la Marcia della Morte verso occidente ma riuscì a fuggire e dopo aver
attraversato in modo avventuro, a piedi, Polonia e Cecoslovacchia giunse a Vienna dove riuscì ad abbracciare la
famiglia. Lei perse il fidanzato e due
fratelli e finchè avrà fiato racconterà la sua storia per evitare che possano
accadere cose del genere.
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